A cura di PAOLO ROBERTO FEDERICI (Sezione di Storia delle Geoscienze)
Definire la personalità di Carlo De Stefani è tutt'altro che agevole perché la sua cultura ha spaziato, prima ancora che nelle scienze della natura, in quelle giuridico-economiche, essendosi laureato in Giurisprudenza all'Università di Pisa nel 1870. In questo campo egli produsse diverse pubblicazioni su temi importanti, con una impostazione di liberalismo sociale, per cui nel 1875 fu professore incaricato di statistica ed economia politica all'Università di Siena. Ma nel frattempo un irrefrenabile interesse per le scienze naturali lo aveva portato a studiare e ad occuparsi soprattutto della geologia (un suo primo lavoro sul Calcare cavernoso di Pietrasanta in Toscana è del 1870!). Per fortuna a Pisa c'era uno straordinario scienziato, Giuseppe Meneghini, e lui non perse l'opportunità di seguirne le lezioni assieme a molti altri discepoli che poi divennero famosi. Inoltre a Firenze insegnava allora nel R. Istituto di Studi Superiori Antonio Stoppani, che De Stefani prese a frequentare. Così, quando attraverso le lezioni dei due maestri ebbe assimilato a fondo il pensiero di Lyell, si cimentò negli studi regionali e grazie alla adeguata preparazione ottenne subito risultati che lo fecero conoscere nel nostro Paese e all'estero. Quando Stoppani si trasferì a Milano, De Stefani, che nel 1885 aveva vinto il concorso per la cattedra di geologia a Napoli, ottenne di prendere servizio nella città toscana. In quel momento aveva già fatto notevoli esperienze, spaziando negli studi dalla Toscana alla Calabria, con la stesura di una carta geologica delle Alpi Apuane, presentata a Parigi nel 1878, e di un'altra della parte meridionale della Calabria (1979 – 1881) accompagnata successivamente da una memoria sui fossili redatta assieme a Dante Pantanelli. Al Congresso di Bologna del 1881, organizzato da Giovanni Capellini, De Stefani presentò una carta di 189 per 163 cm alla scala 1:25.000 dell'Appennino di nord ovest. La sua visione anticatastrofista, con la Terra in contrazione per raffreddamento e le conseguenti forze tangenziali che costringono i terreni a dispiegarsi per corrugamento in pieghe, fu condensata poi fra il 1881 e il 1889 in alcune importanti memorie che contribuirono a un tempo a farlo divenire famoso, ma anche a suscitare memorabili dibattiti. Entrò in contrasto con i rilevatori del Regio Ufficio Geologico (in particolare Lotti, Zaccagna, Cortese), che accusava di prendere in considerazione soltanto la litologia e la geometria e di non tener conto dell'importanza dei fossili per datare le formazioni geologiche. Il contrasto raggiunse punte molto alte. Per paradosso anche tutti costoro, seppur con posizioni diverse (si pensi a B. Lotti per esempio) non ritenevano ammissibile la teoria delle falde di ricoprimento tettonico, introdotta in Appennino da G. Steinmann nel 1907 e poi sviluppata da diversi altri studiosi. Inoltre il tema della tettonica fragile, che nessuno dei contendenti era propenso ad accogliere se non a livello locale, per De Stefani era una assoluta pregiudiziale. In realtà, come noto, lo scontro era fra l'accademia da un lato e le strutture tecniche statali dall'altro. Nel 1908 De Stefani scrisse su Cosmos un corposo lavoro nel quale negava che l'Adriatico fosse un bacino di sprofondamento, interpretandolo invece come uno spazio fra montagne in sollevamento. Ugualmente si esprimeva sul margine tirrenico, su cui il livello di conoscenze era all'epoca assai arretrato.
De Stefani riusciva a spaziare negli studi regionali, stimolando i suoi allievi a studiare i Balcani, le isole Egee, Corfù, Malta, Corsica, Sardegna e finanche il Dodecaneso e l'Africa Orientale, di cui si occupò in particolare Stefanini. Egli fu anche un eccelso scopritore di fossili, di cui rifornì specialmente il museo di Firenze con intere collezioni. Segnalò fossili cretacei nell'Emilia e nelle Marche, studiò i Monti Sabini, concorse alla scoperta, dopo il De Bośniaski, delle flore alto paleozoiche del M. Pisano e di una fauna paleozoica dell'Isola d'Elba; fu inoltre uno dei maggiori conoscitori dei molluschi terziari d'Italia. Il suo spirito speculativo lo indusse a ritenere nel 1891 che le varie formazioni plioceniche fossero eteropiche, annullando la differenza di età fra Astiano e Piacenziano e anche per il Miocene fece proposte analoghe, troppo ardite per poter essere accettate dalla comunità scientifica. In Geomorfologia respinse le teorie dell'"erosione normale" di W. M. Davis, definendole non adatte per l'Europa, ma toccò negli anni '80 dell'Ottocento il tema del glacialismo appenninico, sul quale passò dall'iniziale negazione all'ammissione, sulla base della natura dei laghi di alta quota; su questo tema egli era stato ampiamente preceduto da Stoppani e Cocchi nel 1872 con la loro contemporanea scoperta delle tracce glaciali nelle Alpi Apuane. Negli ultimi anni si appassionò alla Preistoria e contribuì molto alla conoscenza dell'importante Buca di Equi nella Lunigiana apuana.
Al di là di polemiche e di diversità di idee rispetto alla maggioranza dei suoi contemporanei su problemi fondamentali, tutti hanno riconosciuto in Carlo De Stefani uno scienziato di alto livello. Gli si attribuiscono almeno 410 pubblicazioni, una quantità notevole se si pensa che egli mantenne sempre anche la direzione del Museo di Geologia di Firenze e non smise mai di interessarsi della cosa pubblica. Fu infatti assessore ai lavori pubblici a Firenze dal 1902 al 1907, consigliere provinciale di Massa e poi di Lucca per venti anni. Fu socio dell'Accademia dei Lincei e della Société Géologique de Bélgique. Fu cofondatore della Società Malacologica Italiana, Presidente della Società Italiana di Antropologia e infine Presidente nel 1896 della Società Geologica Italiana, di cui fu tra i promotori.
FONTI E BIBLIOGRAFIA
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