A cura di Paolo Roberto FEDERICI (Sezione di Storia delle Geoscienze)
All'Università di Firenze dove si formò, Giuseppe Stefanini ebbe la ventura di avere come professore di geologia De Stefani e di frequentare tre maestri della geografia, O. Marinelli, Dainelli e Biasutti, studiosi eclettici e straordinari viaggiatori che gli indussero la volontà di volare alto nella scienza e di conoscere per primo luoghi e genti allora sconosciute. E così fu per tutta la sua vita. Infatti, dopo la laurea in Scienze Naturali nel 1906 e il diploma di Geologia nel 1908, era già assistente alla Scuola di Geografia di Firenze quando non perse le occasioni di perfezionarsi andando prima a Padova e poi alla Sorbona a Parigi dove frequentò le lezioni e compì numerose escursioni di studio in Europa. Divenne così uno scienziato colto, desideroso di conoscere, infaticabile e generoso. Ancora studente pubblicò diversi apprezzati studi di geografia, in particolare sulla morfologia dei gessi (biancane) nei terreni pliocenici della Toscana e contemporaneamente sul clima e l'idrologia del Friuli per conto del Magistrato delle Acque di Venezia. Ma con facilità, forte della sua cultura di naturalista completo, scrisse anche alcuni articoli sugli Echinidi dell'Emilia e delle Isole Maltesi, che lo fecero conoscere subito e apprezzare anche all'estero. Era dunque un 'enfant prodige'. Infatti nel 1911 elaborò grossi lavori sugli Echinoidi non solo dell'Italia ma, memore dei viaggi dei suoi maestri, anche del Nord America e del Karakorum, compiendo ovunque studi stratigrafici che corroborava con una non comune capacità di scoprire fossili. I suoi studi si distinguevano in quanto oltre all'identificazione delle specie, l'autore introduceva e permeava le faune di una vasta base paleogeografica, una originalità per il tempo. Su queste faune divenne un'autorità mondiale aprendo nuove vie nella loro sistematica, meriti che i biologi gli anno sempre riconosciuto, e venne nominato membro onorario della Palaeontological Society di Washington. Tra l'altro fu un eccezionale raccoglitore e diversi musei anche italiani (Cagliari, Modena, Pisa) posseggono sue importanti collezioni. Vinse così il prestigioso Premio Querini Stampalia ma, mentre era atteso per una folgorante carriera accademica, nel 1913 abbandonò tutto perché fu chiamato a partecipare ad una spedizione con G. Paoli in Somalia, allora quasi sconosciuta. Fu il coronamento di un'aspirazione personale, quella di fare l'esploratore nel senso più completo, scoprire, conoscere, studiare e progettare il futuro di terre sconosciute. La spedizione fu interrotta prima del previsto ma Stefanini, oltre a produrre studi botanici e etnologici, iniziò a lavorare sulla geologia del Giuba, spingendosi anche altrove. Dette subito conto delle sue scoperte con svariate pubblicazioni, non solo articoli e carte ma anche volumi nei quali toccava pure le tematiche etniche.
Tornato in Italia, dopo un lavoro intensissimo pubblicò nel 1915 una grande monografia geologica con carta sul Neogene veneto, nel 1917 una analoga sulle faune. Ma il destino nel 1924 gli offrì una seconda occasione, una spedizione con N. Piccioni per andare nei territori dell'Africa Orientale dove studiò il bacino dell'Uebi Scebeli e le coste, specialmente del Sultanato di Obbia, spingendosi poi fino in Migiurtinia, allora non ancora sottomessa all'Italia, nelle regioni degli Uadi Darror e Nogal. In vari momenti andò anche in Eritrea e non mancò di conoscere a fondo i lineamenti fondamentali dell'Etiopia. Fra i risultati spiccano le prime carte geologiche della Somalia e poi il celebre "Saggio di una carta geologica dell'Eritrea della Somalia e dell'Etiopia alla scala 1:2.000.000", con le Note Illustrative, carta aggiornata poi nel 1936. Dal momento che aveva lavorato anche in Cirenaica, in Tunisia, in Egitto e Sudan fu chiamato a far parte della Commissione Internazionale per la Carta Geologica dell'Africa. Nel frattempo nel 1925 aveva vinto la cattedra di geologia a Cagliari, ma poi si trasferì a Modena e infine, nel 1928 andò a Pisa dove rimase. Qui oltre ad arricchire il museo con le sue collezioni, portò alla biblioteca una sterminata miscellanea tuttora preziosa. Nei brevi soggiorni domestici scrisse non solo sull'attività endogena a Orciatico (il piccolo paese di residenza) e Montecatini, ma anticipò di decenni la cultura della conservazione dell'ambiente in quanto prendendo spunto dallo spianamento agricolo delle colline gessose studiate in gioventù scrisse della necessità di salvaguardare le forme della Terra, cioè a dire istituire i "Geositi"!
Instancabile, nel 1929 assieme a A. Desio pubblicò una poderosa monografia sulla geologia del Dodecaneso. Ma l'Africa era la sua terra d'elezione: partecipò al Congresso Geologico Internazionale a Pretoria, approfittandone per spingersi sulle coste dell'allora Tanganika, studiarle e raccogliere fossili. Forte della sua fama di esperto e diplomatico organizzatore fece svolgere in Cirenaica nel 1931 la 48° escursione della Società Geologica Italiana poi rimasta famosa. Intanto studiò le possibilità di irrigazione delle terre aride convinto delle potenzialità agronomiche dei territori coloniali italiani. Verso la popolazione locale, come si deduce dalle sue lettere, aveva un atteggiamento costruttivo e preferiva circondarsi di indigeni piuttosto che di colonialisti. Nel 1931 e nel 1939 uscirono (la seconda postuma) due poderose monografie sulla paleontologia della Somalia. Nel 1936 iniziò l'aggiornamento della grande carta geologica dell'Africa Orientale, di cui tanto si avvarranno in seguito gli autori italiani e stranieri. Ma mentre veniva eletto negli anni Vice Presidente della Societé Géologique de France, Presidente della Società Geologica Italiana (1935), Socio Corrispondente dell'Accademia delle Scienze di Torino e dell'Accademia dei Lincei e, richiesto, si preparava a esplorare il territorio libico, la sua salute lo tradì, dovette rinunciare all'impresa, morendo nel 1938.
FONTI E BIBLIOGRAFIA
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