Il clima della Terra è un sistema complesso, caratterizzato da molte componenti (atmosfera, idrosfera, geosfera, criosfera, biosfera) che interagiscono fra di loro su tutte le scale di tempo e di spazio. Il clima planetario è soggetto a forzanti variabili nel tempo, come l'energia solare (senza la quale non ci sarebbe un "clima" di cui discutere), le caratteristiche dell'orbita terrestre, le grandi eruzioni vulcaniche, l'impatto di asteroidi, la convezione nel mantello, la tettonica a placche. Le componenti climatiche, inoltre, interagiscono fra loro in modo non lineare, ovvero senza una proporzionalità diretta fra cambiamenti nelle forzanti e risposta del sistema climatico, e sono in grado di generare variabilità climatica anche in assenza di cambiamenti delle forzanti esterne.
Per il gioco continuo fra le variazioni delle forzanti e la risposta dinamica delle componenti interne, il sistema climatico terrestre ha mostrato nel corso della sua storia grandi variazioni, come l'alternanza fra periodi glaciali e interglaciali negli ultimi tre milioni di anni, il periodo caldissimo del Cretacico fra 90 e 120 milioni di anni fa, o, ancora più indietro nel tempo, gli episodi di "Terra a palla di neve" con una copertura di ghiacci quasi totale. Nonostante queste variazioni, il clima della Terra è sempre stato caratterizzato da un intervallo di temperatura che ha permesso la presenza ininterrotta della vita da almeno 3 miliardi e mezzo di anni fa. Ciononostante, nel corso del tempo, molte specie dominanti si sono estinte, spesso perché non sono state in grado di adattarsi alle mutate condizioni ambientali. È importante sottolineare che tutte queste informazioni sono state ottenute dai dati e dalle misure, dalle ricostruzioni paleoclimatiche e ambientali, dalle analisi geochimiche e isotopiche, che hanno fornito un quadro affascinante, anche se ancora incompleto, della storia del clima della Terra. In particolare, l'ecosistema oceanico è il più antico e il più esteso del nostro Pianeta e fornisce molte informazioni essenziali per capire cosa sia successo nel passato e cosa stia succedendo in questi anni.
Uno dei parametri importanti nel controllo della temperatura globale, e del clima in generale, è la quantità di gas ad effetto serra in atmosfera: anidride carbonica (CO2), metano e, indirettamente, in risposta alle variazioni delle prime due, il vapor d'acqua. Senza effetto serra, la Terra sarebbe molto più fredda e sostanzialmente inadatta alla vita complessa e rigogliosa che conosciamo, come su Marte. Con un effetto serra eccessivo, generato da una concentrazione di CO2 in atmosfera che supera un valore critico, le temperature alla superficie del pianeta diventerebbero molto più alte, fino ad arrivare a situazioni estreme come è avvenuto su Venere (per fortuna, anche nei periodi più caldi il nostro pianeta non ha mai raggiunto tale soglia critica di CO2 atmosferica). Il recente volumetto su Geochemical Perspectives di Wally Broecker, purtroppo recentemente scomparso, illustra con grande efficacia il ruolo della CO2 nella dinamica del clima terrestre, dall'Archeano a oggi. Seppure certamente non l'unico determinante del clima, la composizione dell'atmosfera – e in particolare la concentrazione di gas serra – emerge da tutti i dati, dalle osservazioni e dalle misure come un elemento fondamentale del clima planetario. In questo contesto, l'oceano ha da sempre giocato un ruolo fondamentale, sia come mitigatore climatico sia per la sua capacità di sequestrare la CO2 dall'atmosfera.
Oltre alla variabilità naturale, e a quella indotta dai cambiamenti delle forzanti esterne, negli ultimi 150 anni circa si è aggiunto un nuovo fattore, legato alle attività antropiche. L'utilizzo dei combustibili fossili ha fortemente aumentato la concentrazione di CO2 e altri gas serra in atmosfera, come documentato dalle misure e confermato dalle analisi isotopiche che hanno chiaramente dimostrato già dagli anni '50-'60 dello scorso secolo l'origine "fossile" della CO2 accumulata in atmosfera (Suess effect). In particolare, il valore medio globale della concentrazione di CO2 in atmosfera nel dicembre 2018 è stato di circa 410 ppm, con un aumento del 46% rispetto al valore pre-industriale (280 ppm) della fine del diciottesimo secolo. È importante notare che concentrazioni come quelle attuali non sono mai state rilevate negli ultimi 800 mila anni. Anche la velocità dell'aumento è un elemento nuovo: si è misurato un aumento di CO2 di 98 ppm in 60 anni, da confrontarsi con un aumento di 80 ppm in 7000 anni circa, durante la transizione dall'ultimo picco glaciale all'attuale interglaciale. Il tasso di aumento di CO2 in atmosfera è aumentato da 0,85 ppm/anno nel primo decennio di misure (1960-1969) a oltre 2 nell'ultimo decennio (2009-2018): in particolare, nel 2017 e 2018 è stato misurato un aumento di 2.5 ppm di CO2 all'anno.
In seguito all'aumento della concentrazione di CO2 e di altri gas serra, il "forzante radiativo" (cioè la differenza positiva tra il flusso radiativo entrante solare e quello uscente terrestre) negli ultimi 40 anni è aumentato del 77%, superando i 3 W/m2. Nel passaggio dall'ultima glaciazione al presente interglaciale l'aumento del forzante radiativo si ritiene sia stato di circa 7 W/m2. Oltre al fattore dominante associato ai gas serra, anche cambiamenti nell'uso del territorio, la deforestazione in alcune aree geografiche e la riforestazione in altre, la diffusione di pratiche agricole intensive, l'erosione del suolo, la desertificazione e, non ultima, l'estesa urbanizzazione hanno contribuito a modificare il clima terrestre.
Questi fattori, di cui il più importante è l'aumento di CO2 e la relativa intensificazione dell'effetto serra, hanno portato dal 1900 ad oggi all'aumento della temperatura media globale alla superficie di circa un grado centigrado. L'entità di questo cambiamento è particolarmente significativa, se confrontiamo l'aumento della temperatura media globale superficiale di circa 1°C in poco più di un secolo con l'aumento di circa 3,5°C in 8000 anni durante l'ultima deglaciazione.
In conseguenza di ciò, specialmente in alcune regioni si sono misurati effetti quali l'intensificazione del ciclo idrologico, l'aumento di onde di calore estive e siccità, una maggiore instabilità del vortice polare artico, l'aumento di livello medio globale dei mari, l'estensione di incendi boschivi nel nord Europa, nonché cambiamenti negli ecosistemi.
A livello globale, tutti i grandi gruppi di ghiacciai montani e le grandi calotte polari dell'Antartide e della Groenlandia sono attualmente, nel loro complesso e contemporaneamente, in bilancio negativo, cioè restituiscono acqua agli oceani. Il livello medio globale degli oceani, dopo una sostanziale stabilità negli ultimi 2000 anni, dalla metà del secolo 19° sta risalendo, con velocità crescente, sia per l'aumento di volume delle acque a seguito del loro riscaldamento sia per la crescente e sincrona fusione dei ghiacciai. Inoltre, una parte significativa dell'eccesso di calore assorbito dalla superficie della Terra viene immagazzinato negli oceani, come mostrato dall'aumento del contenuto di calore degli oceani. Quando questo calore sarà restituito dagli oceani all'atmosfera, un ulteriore aumento della temperatura sarà inevitabile.
L'aumento di temperatura, specie quando combinato con la frammentazione degli habitat naturali, l'introduzione di specie invasive, la perdita di biodiversità, l'aumento della popolazione e delle relative richieste di risorse idriche ed energetiche, può comportare uno stress notevole per i sistemi sociali ed economici della nostra civiltà. Il pianeta e la vita sulla Terra non sono in pericolo, perché sono passati attraverso catastrofi e cambiamenti ben maggiori di quanto osserviamo oggi. Ma non è detto che le specie individuali possano sopravvivere al cambiamento, come successo molte volte nel passato della Terra. La biosfera, infatti, risponde ai cambiamenti climatici anche estremi in modo molto complesso, con alcune specie opportuniste che riescono ad avvantaggiarsi e altre specie che sono incapaci di sopravvivere alle nuove condizioni.
Probabilmente, neppure oggi la specie umana è in pericolo, ma sicuramente le popolazioni con minori risorse economiche hanno minore capacità di adattamento alle mutate condizioni climatiche e quindi l'unica soluzione sarà l'emigrazione, con le conseguenti instabilità sociali ed economiche in tutti i paesi. La mutata disponibilità di risorse aumenterà anche i conflitti per la riduzione della disponibilità idrica o per l'innalzamento del livello del mare. Una società complessa come la nostra, ricca di infrastrutture critiche in zone vulnerabili come le aree costiere, è quindi particolarmente esposta ai danni sociali, economici e ambientali portati dai cambiamenti climatici.
Molti aspetti sono naturalmente ancora da capire, come avviene in quasi ogni ramo della scienza e in particolare nella scienza dei climi planetari. Il sistema climatico è complesso, la scienza del clima è un campo di ricerca relativamente "giovane", il problema è intrinsecamente difficile e c'è spazio ancora per generazioni di geologi, biologi, chimici e fisici che si dedichino alla comprensione del tema di come funziona il clima di un pianeta nel corso del tempo geologico. Ma il quadro generale è ormai chiaro e sia i dati raccolti negli ultimi cinquant'anni sia le leggi della chimica e della fisica hanno definito il campo di azione e indicato dove serve nuova ricerca. Il permanere di alcune incertezze, soprattutto per i processi di interazione e per la stima quantitativa dell'evoluzione futura del clima, non deve essere una scusante per non prendere atto della necessità di limitare l'emissione di gas serra di origine antropica, pur con tutte le difficoltà che tale riconversione comporta. Allo stesso tempo, la necessità di cambiare strada energetica è un motore potente di innovazione scientifica, tecnologica ed economica, che molti paesi (inclusa la Cina) stanno percorrendo e che sarebbe suicida, da parte europea e italiana, trascurare.
In conclusione, tutti i dati disponibili, le misure, le osservazioni e le analisi condotte da decine di migliaia di ricercatori in tutto il mondo indicano che l'aumento delle temperature osservato nell'ultimo secolo è in gran parte dovuto all'aumento di concentrazione della CO2 e degli altri gas ad effetto serra in atmosfera, generato dalla attività antropiche: non risulta infatti dimostrato da nessuna misura, né astronomica né terrestre, che le altre forzanti naturali siano attualmente responsabili di tale riscaldamento. La negazione delle evidenze quantitative, basate sui dati, del cambiamento climatico in atto è un atteggiamento pregiudiziale e non scientifico. Come cittadini, riteniamo che sia necessario intraprendere strade di innovazione tecnologica e scientifica che permettano al nostro paese di rimanere competitivo, anziché inseguire idee obsolete e fuorvianti. Come scienziati, riteniamo che ci sia ancora molto su cui la ricerca può e deve lavorare, al contempo rispettando profondamente i risultati ottenuti finora, attenendoci ai dati e alla realtà che i dati ci hanno rivelato. Il resto è mito privo di fondamento.
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