A cura del socio Piero Dellino
Vulcanologo e Referente Rischio Vulcanico della Commissione Nazionale dei Grandi Rischi
L'Italia meridionale è sede di numerosi vulcani. Fra i più attivi in tempi recenti si ricordano quelli delle Isole Eolie (fra cui Lipari, Vulcano e Stromboli), l'Etna, il Vesuvio e i Campi Flegrei, oltre a numerosi centri eruttivi sottomarini che interessano il mar Tirreno (ad esempio il Marsili).
I vulcani sono strutture della superficie terrestre da cui fuoriesce materiale magmatico. Si parla di eruzioni effusive (Figura 1) quando il magma viene emesso sotto forma di colate di lava (molto frequenti all'Etna).
Figura 1 - Colata di lava basaltica che scorre lungo un pendio (eruzione dell'Etna del 24-12-2018, foto cortesia del socio Francesco Zuccarello)*.
Si dicono esplosive (molto frequenti al Vesuvio, Campi Flegrei e Vulcano) le eruzioni in cui il magma, durante la risalita nel condotto si frammenta in bombe, lapilli e ceneri, che vengono espulsi dal cratere ad alta velocità assieme ai gas magmatici (Figura 2).
Figura 2 - Eruzione esplosiva con la formazione di una colonna pliniana di gas e frammenti piroclastici (eruzione del Vulcano Redoubt, in Alaska, del 21-04-1990; Foto di R. Clucas e pubblicata sul repertorio USGS http://pubs.usgs.gov/dds/dds-39/album.html e l'immagine qui riportata (file MtRedoubtedit1.jpg) è considerata di dominio pubblico dallo stesso USGS http://gallery.usgs.gov/photos/03_29_2013_otk7Nay4LH_03_29_2013_5#.UrvS2vfTnrc)*
I frammenti di magma, detti piroclastiti, dopo essere stati trasportati all'interno di colonne e nubi eruttive, si depositano al suolo a formare i depositi piroclastici. La natura effusiva o esplosiva di un'eruzione dipende da una complessa relazione fra la composizione del magma (che ne condiziona la fluidità), il suo contenuto in fasi volatili, la presenza di falde idriche e lo stress che il magma subisce durante la risalita nel condotto. Sebbene siano più frequenti le eruzioni esplosive alimentate da magmi ricchi in silice (riolitici, trachitici e fonolitici), non sono rari i casi in cui esse avvengono anche a spese di magmi più bassi in silice (e.g. basalti). Non sono rari comunque casi in cui durante un'eruzione si alternano fasi effusive a fasi esplosive.
La forma e dimensione di un vulcano dipendono dall'impilamento delle colate di lava e/o dei depositi piroclastici che si depositano durante la vita di un vulcano. Piccoli vulcani possono essere sede di una sola eruzione; grandi vulcani possono avere attività eruttiva che si protrae per decine di migliaia (Vesuvio), centinaia di migliaia (Etna), fino a milioni di anni (Hawaii), con alternanza di fasi eruttive e fasi di stasi. In alcuni vulcani l'attività eruttiva si ripete con fitta periodicità e brevi periodi di riposo (vedi il caso dell'Etna). In altri casi, brevi fasi eruttive si alternano a lunghi periodi di riposo, che possono durare anche centinaia o migliaia di anni (vedi il caso del Vesuvio, foto del banner, e dei Campi Flegrei). Bisogna considerare attivo un vulcano che, anche se negli ultimi anni non ha dato luogo a eruzioni, mostra segni della presenza di sorgenti di calore in profondità, quali, per esempio campi geotermici/idrotermali che alimentano emissioni fumaroliche, ed evidenze geofisiche della presenza di un serbatoio magmatico ad alcuni km di profondità.
Il magma che alimenta le eruzioni vulcaniche si forma, nella gran parte dei casi, per fusione parziale delle rocce del mantello astenosferico. Esso giace al di sotto della litosfera (la cui parte superficiale è detta crosta), a profondità variabili fra meno di 10 km e oltre 50 km. Il processo di formazione e risalita del magma verso la superficie implica adeguate condizioni di pressione e temperatura, che si verificano più di frequente in particolari contesti geodinamici quali i margini delle placche litosferiche. Qui, o per riduzione della pressione, dovuta a processi di distensione fra le placche in prossimità delle dorsali medio-oceaniche, o per arricchimento del mantello da parte di brine ricche in elementi alcalini e fluidi (H2O e CO2), causato dai processi metamorfici legati alla subduzione della litosfera, le rocce del mantello incontrano le condizioni opportune per dare luogo alla produzione di magma e per favorirne la risalita verso la superficie.
I vulcani dell'Italia meridionale si formano nel complesso contesto geodinamico del Mediterraneo, dove zone in subduzione sono a ridosso di zone in distensione. Questo complicato assetto geodinamico-strutturale favorisce la formazione di magmi a partire da sorgenti situate nel mantello terrestre, ad una profondità non inferiore ai 40 km di profondità, diversificate ed in diverse condizioni termo-barometriche. L'insieme di questi fattori porta alla genesi di magmi differenti, nei diversi vulcani, ognuno con un'impronta geochimica ben riconoscibile. In alcuni casi, prima di raggiungere la superficie, i magmi possono stazionare all'interno di un serbatoio litosferico intermedio, all'interno della crosta terrestre, detto camera magmatica e posto tipicamente a meno di 10 km di profondità. La camera magmatica si forma perché i magmi di origine mantellica (tipicamente di composizione basaltica) non sempre hanno una densità che consente la risalita attraverso le rocce della crosta. In questi casi, tipici del Vesuvio e dei Campi Flegrei, il magma nel risiedere a lungo nella camera magmatica, subisce processi di evoluzione che possono riattivare la capacità di risalita verso la superficie e determinano composizioni peculiari per ogni vulcano. Da questo punto di vista, molto diversi sono i magmi dell'Etna da quelli dello Stromboli, da quelli del Vesuvio e da quelli dei Campi Flegrei. Inoltre, la risalita dei magmi può avvenire solo in presenza di un gradiente di pressione dal basso verso l'alto, che favorisce la formazione di dicchi in profondità e di condotti cilindrici verso la superficie. La risalita dei magmi nel sistema dei dicchi e dei condotti avviene, quindi, pressoché in verticale (Figura 3).
Figura 3 - Sistema di dicchi di alimentazione magmatica di composizione basaltica al Monte Somma (foto cortesia del socio Sandro Conticelli)*.
Questo rende impossibile la migrazione di magmi fra un vulcano e l'altro attraverso collegamenti sotterranei, come si pensava alcuni secoli fa. L'insieme di questi dati dimostra che i sistemi vulcanici italiani sono fra loro indipendenti. Infatti, il processo di risalita del magma genera un campo di sforzi che da un lato rende possibile l'apertura in profondità e la migrazione dei dicchi, dall'altra porta alla formazione di fratture in superficie ed alla rottura fragile della crosta, con la generazione di sequenze sismiche tipiche dell'ambiente vulcanico. Questi segnali possono essere utili premonitori, ma possono anche provocare impatti sismici nei manufatti ubicati in aree vulcaniche.
In questa complessa cornice si inserisce l'eruzione dell'Etna del periodo 24-27 dicembre 2018. La ripresa dell'attività eruttiva è stata caratterizzata da una fase iniziale moderatamente esplosiva che ha visto la formazione di un "plume" di cenere (Figura 4) che ha reso necessaria la temporanea chiusura dell'aeroporto di Catania. In seguito si è avuta una breve emissione di una colata di lava.
Figura 4 - Fase iniziale moderatamente esplosiva dell'eruzione dell'Etna del 24-12-2018, che ha visto la formazione di un "plume" di cenere (foto cortesia del socio Francesco Zuccarello)*.
Il terremoto di magnitudo 4.9 del 26 dicembre ha interessato la riattivazione della faglia di Fiandaca, nel settore sud orientale del vulcano. Questa struttura sismogenica è stata sede, in tempi storici, di altra attività sismica di intensità simile. Solo approfondimenti futuri potranno dimostrare se esiste una correlazione diretta fra l'attività magmatica e l'innesco del fenomeno sismico. Questa correlazione è stata in alcuni vulcani già dimostrata, mentre in altri casi non ve ne è evidenza.
Per quanto l'Etna non sia sede di frequenti eruzioni esplosive violente, ed il rischio vulcanico sia sensibilmente più ridotto rispetto a vulcani più marcatamente esplosivi, come il Vesuvio ed i Campi Flegrei, l'ultimo evento sismico ha dimostrato come si debba prestare sempre molta attenzione verso la prevenzione ed il buon costruire, che rappresentano gli unici strumenti che ha l'uomo per ridurre l'impatto dei processi naturali calamitosi.
*Le foto sono state aggiunte a cura della redazione (Fabio M. Petti, Vincenzo Morra, Sandro Conticelli),
**Foto del banner iniziale a cura di Vincenzo Morra.