a cura del socio Andrea Argnani
Poco dopo lo scoccare della mezzanote del 14 gennaio la terra trema sotto Ravenna, svegliando gli abitanti e mettendo in ansia la popolazione, ben memore della tragica sequenza di terremoti dell'Emilia nel Maggio-Giugno 2012. Ordinanza di scuole chiuse rapidamente emanata dalle autorità (i social a volte servono!) per consentire sopralluoghi tecnici nella mattinata. Fortunatamente nessun danno a persone e a cose.
Vediamo come si può inquadrare questo evento nel contesto sismotettonico regionale.
L'area Adriatico-Padana è ciò che resta di un più vasto promontorio continentale (chiamato Adria) collegato alla placca africana. Questa propaggine continentale è stata la prima a collidere con la litosfera continentale europea durante la convergenza fra Africa ed Eurasia, attiva da ca. 90 milioni di anni; la ghirlanda di catene montuose che circonda Adria è la testimonianza di questo scontro, che ha prodotto notevoli complessità geologiche. Per la gran parte i terremoti del Mediterraneo seguono la fascia di deformazione compresa fra le placche africana ed europea (Fig. 1), mentre Adria viene considerata relativamente stabile dal punto di vista sismico. Negli ultimi 30 anni, tuttavia, la rete sismica nazionale dell'INGV ha registrato nella regione adriatica diversi terremoti ubicati a profondità attorno ai 20 km, che si possono pertanto collocare nella crosta intermedia-profonda (Chiarabba et al., 2005), e alcuni di questi si estendono nel sottosuolo della Pianura Padana. Tipicamente sono eventi di magnitudo momento (Mw) fra 4.0 e 5.0, con attività sismica che si esaurisce in una sola o poche scosse. Dallo studio delle onde sismiche registrate dalle stazioni è possibile ricostruire il meccanismo della rottura e la direzione degli assi principali di sforzo (meccanismo focale) (http://cnt.rm.ingv.it/en/tdmt?page=21 e http://rcmt2.bo.ingv.it/). Per questi terremoti gli studi indicano rotture di tipo compressivo o trascorrente con l'asse principale di sforzo orizzontale con direzione fra nord-ovest e nord-est. Questi eventi sono quindi diversi dai recenti terremoti distruttivi che hanno colpito a più riprese l'Italia centrale: questi ultimi sono infatti meno profondi (< 15 km) e sono caratterizzati da un meccanismo di rottura estensionale dovuta a uno sforzo principale verticale.
Fig. 1 - Sismicità strumentale della regione mediterranea per un intervallo di profondità da 0 a 50 km (da Vannucci et al., 2004); la dimensione dei cerchi gialli è proporzionale alla magnitudo. Si noti come la stretta fascia di sismicità al margine di placca oceanica in Atlantico passi ad una zona di deformazione più diffusa nel Mediterraneo, dove avviene la complessa collisione continentale fra Africa ed Eurasia. Si nota anche che la sismicità inviluppa Adria delineando la sua natura di promontorio africano.
Il terremoto del 15 gennaio che ha interessato principalmente la città di Ravenna, ed è stato avvertito in una vasta area circostante, da Bologna al Veneto, sembra essere attribuibile a questa sismicità medio-crostale (Fig. 2). La breve descrizione degli eventi è basata sulle informazioni tratte dal sito del Centro Nazionale Terremoti dell'INGV (http://cnt.rm.ingv.it/).
Fig. 2 - Mappa dello spessore crostale in km nella regione Adriatico-Padana (da Ziegler & Dezes, 2006) con l'ubicazione della sezione geologica mostrata in figura 4 (linea bianca) e con l'indicazione approssimata dell'area epicentrale dei terremoti del ravennate (ellisse bianco).
L'ipocentro della scossa principale di Mw 4.3 è stata localizzato a 25 km di profondità. Nelle cinque ore successive sono state registrate altre quattro scosse in un raggio di ca. 30 km dall'epicentro principale (Fig. 3 ), e soltanto una di queste, avvenuta alle 00:29 e ubicata nei pressi di Cervia a 22 km di profondità, ha raggiunto magnitudo locale (Ml) 3.0, poco o per nulla risentita dalla popolazione. Il meccanismo focale del terremoto principale descrive un meccanismo di rottura compressivo con asse principale di sforzi orizzontale in direzione nord-est.
Fig. 3 - Mappa con gli epicentri dei terremoti ravennati del 15 gennaio 2019 (in rosso) e del terremoto del 6 giugno 2012 (in blu) e con le strutture tettoniche semplificate (da Carannante et al., 2015). I cerchi rossi indicano epicentri di terremoti con Ml 2.0. I fronti indicati con linee tratteggiate riguardano sovrascorrimenti che interessano principalmente sedimenti della successione pliocenico-quaternaria; nei sovrascorrimenti i cui fronti sono indicati con linea continua sono coinvolti i carbonati della successione mesozoica (triangoli vuoti) e il basamento (triangoli pieni). Mappa preparata da Alessandra Mercorella (ISMAR Bologna).
Va ricordato che il 6 Giugno del 2012 un evento simile interessò l'area di Ravenna (Fig. 3), con epicentro molto prossimo al terremoto del 15 Gennaio e simile energia (Mw 4.0) e profondità (31 km). Il meccanismo focale descriveva una rottura di tipo trascorrente con l'asse compressivo principale in direzione nord-ovest. Anche in questo caso il terremoto non fu seguito da altre scosse importanti. Questa scossa avvenne a breve distanza temporale dai terremoti dell'Emilia; tuttavia, la sua profondità e le sue caratteristiche indicarono fin da subito che non si trattava dello stesso sistema di strutture. La profondità degli eventi del ravennate li colloca infatti ben al di sotto dei sovrascorrimenti che dalla catena appenninica si propagano nel sottosuolo della Pianura Padana (Fig. 4; Fantoni & Franciosi, 2010) e che sono ritenuti responsabili della sequenza sismica dell'Emilia 2012.
Fig. 4 - Profilo geologico a scala regionale che attraversa la Pianura Padana e le pieghe sepolte del ferrarese, sede dei terremoti della sequenza del 2012, costruito utilizzando le informazioni disponibili nel sottosuolo grazie all'esplorazione petrolifera (da Fantoni e Franciosi, 2010). Si noti come i sovrascorrimenti delle pieghe ferraresi vadano a raccordarsi a uno scollamento basale posto sotto l'Appennino a una profondità di poco superiore a 10 km.
Le misure di stress in situ effettuate nei pozzi profondi in vari contesti tettonici, seppur a profondità minori di quelle ipocentrali dei terremoti ravennati, indicano che la crosta continentale è in uno stato di stress prossimo a quello della resistenza alla rottura delle rocce e, in presenza di faglie, in una sorta di equilibrio frizionale in cui la resistenza della crosta è data dalla frizione lungo le faglie stesse (es. Brudy et al., 1997). Assumendo un tale contesto per la crosta adriatica, è verosimile che il carico progressivo degli sforzi tettonici prodotti ai bordi di Adria possa talora causare rotture lungo discontinuità pre-esistenti; rotture che non hanno la continuità e la persistenza delle faglie presenti ai limiti di placca ma che possono comunque generare terremoti.
Riferimenti bibliografici
Brudy M., Zoback M.D., Fuchs K., Rummel F., Baumgarten J. (1997) - Estimation of the complete stress tensor to 8 km depth in the KTB scientific drill holes: Implications for crustal strength. JGR, 102, 18,453-18,475.
Carannante S., Argnani A., Massa M., D'Alema E., Lovati S., Moretti M., Cattaneo,M., Augliera P. (2015) - The May 20 (MW 6.1) and 29 (MW 6.0), 2012, Emilia (Po Plain, northern Italy) earthquakes: new seismotectonic implications from subsurface geology and high-quality hypocenter location. Tectonophysics 655, 107-123.
Fantoni R., Franciosi R. (2010) - Tectono-sedimentary setting of the Po Plain and Adriatic foreland. Rend. Fis. Acc. Lincei 21, S197–S209.
Chiarabba C., Jovane L., Di Stefano R. (2005) - A new view of Italian seismicity using 20 years of instrumental recordings. Tectonophysics 395, 251-268.
Vannucci G., Pondrelli S., Argnani A., Morelli A., Gasperini P., Boschi E. (2004) - An Atlas of Mediterranean Seismicity. Annali di Geofisica, supplementary, 47, 247-306.
Ziegler P. A., Dèzes P. (2006) - Crustal evolution of Western and Central Europe. Geological Society, London, Memoirs 2006, 32, 43-56.